Elena Premoli

biografia

Chi è Elena Premoli

elena pemoli foto

Non ricordo il momento esatto in cui ho iniziato, ma ricordo il momento esatto in cui ho iniziato a crederci.

Avevo diciassette anni e un’associazione di ex alunni del liceo che frequentavo aveva indetto un concorso di poesia a tema libero. Da alcune settimane il mio professore di Lettere aveva di me una considerazione diversa, speciale: da quando, dopo una lezione, mi aveva chiesto di rimanere in aula e, tolto il mio tema dalla cartelletta, mi aveva guardata dritta negli occhi: «Sei stata molto brava, lo sai?»

Per questo avevo deciso di partecipare a quel concorso.

Il giudice era Silvio Raffo: avrebbe letto la poesia vincitrice di fronte a tutta la scuola, durante l’assemblea annuale di fine anno. E quando iniziò a leggere, lui in piedi, centinaia di studenti raccolti a gambe incrociate sul pavimento verde scuro della palestra, erano i miei versi. Poi chiuse il foglio: «La ragazza sa scrivere» concluse.

Qualcosa era accaduto: in quell’istante decisi che non mi sarei mai arresa.

Nel 2007 ero tra i finalisti del Premio Chiara Giovani con un breve racconto dal titolo “Fermati e Ascolta”. Poi la vita mi ha portata lontana, con la mente e con il corpo: ho iniziato a studiare cinese, ho viaggiato e vissuto all’estero, sono stata in Erasmus presso la Bangor University of North Wales e poi a Pechino, alla Renmin University of China.

Ho conosciuto molte persone, imparato lingue straniere, sono andata a vivere da sola. Mi sono laureata, ho iniziato a lavorare a cavallo tra Milano, Pechino e Shanghai. Ho scritto per riviste di geopolitica come Limes ed Eurasia, ho tradotto, ho insegnato. Ho scritto due romanzi: sono rimasti nel cassetto.

Nel 2016 lavoravo per un’importante azienda del luxury italiano. Avevo un contratto a tempo indeterminato e ogni giorno percorrevo decine di chilometri in auto per andare al lavoro. Durante quei viaggi, spesso in coda, sempre da sola, la mente pensava molto. A volte i pensieri si trasformavano in concetti, in frasi, in sequenze d’immagini. Senza rendermene conto, dentro, stavo scrivendo.

«Mi licenzio.» Il mio capo solleva le folte sopracciglia grigie.

«Perché? Hai trovato un altro lavoro?»

«No.»

È perplesso: «E allora? Non ti trovi bene qui?»

Sospiro: «Mi trovo molto bene.»

Ha un’aria interrogativa, allora glielo dico: «Voglio del tempo per scrivere.»

Iniziai. L’esperienza sul Cammino di Santiago e poi la figura di uno zio che, d’improvviso, si ammala. Un uomo burbero e il suo cane. Un amore impossibile.

L’editor che mi stava seguendo per rivedere la bozza del nuovo romanzo leggeva insieme a me diversi passaggi. Eravamo collegati via Skype. Era l’inizio del 2018. Ad un certo punto si interruppe e si girò verso la telecamera: 

«Ma questa trama, da dove salta fuori?»

Mi barcamenai: «Sono episodi della mia vita, cose che mi sono accadute, o che mi hanno raccontato.»

Lui si grattò la testa: «La scrittura è buona, ma la trama è troppo confusa» disse. «Non funziona.»

«Ma possiamo sistemarlo?» chiesi, a voce bassa.

Lui non mi rispose e disse: «Perché non parti da qualcosa di reale e ne fai una storia?»

“Per tutti i giorni della tua vita” è nato nel mio cuore, mentre cullavo la mia bambina di pochi mesi e la televisione rimandava il caso di cronaca di un bambino condannato dalla vita e dal mondo.

Ad agosto 2018 iniziai a scaricare e tradurre sentenze, atti giudiziari, e leggere articoli di giornale riguardanti la vicenda di Alfie Evans. Ci pensavo sempre, ero combattuta e ossessionata. Da settembre a dicembre ogni mattina sono stata davanti allo schermo del computer, e ho scritto.

Ci sono voluti altri quattro anni per arrivare alla pubblicazione, credevo con tutta me stessa in quella storia.

La telefonata della mia agente arrivò un giorno di luglio, mentre prendevo un caffè a Bellinzona: era primo pomeriggio, ricordo la luce intensa e il caldo.

«Abbiamo ricevuto il tuo romanzo e letto i primi capitoli: è interessante. Possiamo procedere?»

Posai la tazzina, il cuore iniziò ad accelerare. Dissi il mio sì.

Quello fu il momento esatto in cui capii che sarebbe accaduto.